Una possibile Filosofia Yumeiho

Una possibile Filosofia Yumeiho

Motto: “Voglio sapere come Dio ha creato questo mondo.” – Albert Einstein, 1955
“Il mondo e il tempo hanno avuto lo stesso inizio. Il mondo non è stato creato nel tempo, ma con il tempo.” – Sant’Agostino

Esiste, in modo spiegabile e giustificabile, una critica costruttiva riguardante l’ipostasi della complessità. La terapia manuale giapponese Yumeiho non è semplice, è molto complicata, ma ha un argomento decisivo: la percezione, la pazienza, i dettagli. Questi sono esposti in modo scientifico, complicato, e richiedono pazienza.

Ci manca qualcosa in questa creazione. Cosa? Un passo che ci conduce a Socrate e alla sua celebre affermazione: “L’unica certezza che ho è che so di non sapere nulla.” (“ipse se nihil scire id unum sciat” – una possibile traslitterazione di un testo greco, oppure “scio me nihil scire, scio me nescire”).

Il paradosso di Socrate solleva un’interrogazione fondamentale attraverso i “Dialoghi” (i dialoghi scritti nella gioventù), che rappresentano le testimonianze di Platone, il suo allievo più importante. Quest’uomo, da un lato, crede di sapere qualcosa, senza sapere al contempo nulla. Poiché Socrate negava di possedere qualsiasi conoscenza, cercava qualcuno più saggio di lui tra politici, poeti e artigiani. Nel dialogo di Platone “Menone”, Socrate confessa: “Quindi, io non so che cosa sia la virtù; forse lo sapevi prima di incontrarmi, ma ora sembri essere qualcuno che non sa questa cosa.” In questo dialogo, Socrate intendeva cambiare l’opinione di Menone, che credeva ostinatamente nella propria conoscenza, un fatto che Socrate non poteva fare a meno di disapprovare.

La capacità dell’uomo di conoscere e comprendere è quasi illimitata. La capacità è limitata individualmente. Il solipsismo, al di là degli aspetti patologici, è naturale nonostante le ereditarietà genetiche. Il solipsismo è: “atteggiamento o dottrina di chi si separa dal mondo e riduce tutta la realtà a quella del proprio io individuale, momento delle Meditazioni di Descartes, in cui il filosofo mette in discussione tutte le evidenze comuni, è il momento del solipsismo. Il termine equivale a quello di scetticismo” (Platone, Dialoghi, Editore Antet Revolution, 2010). Il solipsismo è lo stato di chi dubita di tutto e di tutti; il primo momento delle Meditazioni di Descartes, in cui il filosofo mette in discussione tutte le evidenze comuni, è il momento del solipsismo. Il termine equivale a quello di scetticismo.

Anche l’uomo che si considera infelice cerca la felicità nella propria infelicità. Consideriamo tutte le variazioni possibili e giungiamo comunque all’incomprensibilità ontologica. Sappiamo, abbiamo il nostro scopo in questa vita, comprendiamo a volte di più, altre volte di meno, ma impariamo, ci adattiamo o cediamo.

Nel libro di Rupert Sheldrake, “Risonanza Morfica. Una nuova scienza della vita”, l’autore scrive dell’eredità della forma: “Le differenze ereditarie tra organismi altrimenti simili dipendono dalle differenze genetiche, le differenze genetiche dipendono dal DNA, o dal suo arrangiamento nei cromosomi; e queste differenze portano a modifiche nella struttura delle proteine o nel controllo della sintesi delle proteine.

Queste scoperte fondamentali, supportate da un gran numero di evidenze dettagliate, offrono una comprensione diretta e soddisfacente dell’eredità delle proteine e delle caratteristiche che dipendono più o meno direttamente da certe proteine, come la sicosi e gli errori congeniti del metabolismo. Al contrario, le differenze ereditarie della forma non hanno, in generale, una relazione sufficientemente chiara con modifiche nella struttura o sintesi di proteine particolari. Tuttavia, tali modifiche potrebbero influenzare la morfogenesi in vari modi attraverso effetti sugli enzimi metabolici, sugli enzimi che sintetizzano ormoni, sulle proteine strutturali, sulle proteine delle membrane cellulari, ecc. Molti esempi di tali effetti sono già conosciuti. Ma ammettendo che diverse modifiche chimiche portano alla modifica o deformazione del modello normale di morfogenesi, cosa determina il modello normale di morfogenesi?” (Rupert Sheldrake, Risonanza Morfica. Una nuova scienza della vita, Editore Firul Ariadnei, 2006)

Guardiamo verso il cielo e ci chiediamo in tali momenti quale sia la decisione migliore. Cosa ha generato un’azione, o più azioni, da parte di un uomo. Perché lottiamo per la giustizia in modo da poter equilibrare integralmente il destino di una persona, anche se quella persona può essere un alienato o un uomo innocente?

Una possibile risposta: “Gli uomini sono più di semplici caratteri fenotipici riassunti nella categoria tassonomica Homo Sapiens. Siamo esseri coscienti. Filosofi, psicologi, antropologi e specialisti in neuroscienze hanno opinioni diverse sulla natura della coscienza umana. Molti la studiano come se fosse una cosa a sé” (John Hands, Cosmo Sapiens. L’evoluzione dell’uomo dalle origini dell’universo, Editore Humanitas).

Viviamo tra interrogazioni e constatazioni, e questa ipostasi ontologica ci avvicina alla verità, ma non alla sua possesso. Adattiamo lungo il cammino, sopravviviamo, continuiamo nel tentativo di essere consapevoli di noi stessi.

Descrivere e definire l’uomo è, in prima istanza, un processo di autocoscienza, di esplorazione del proprio io. Nel corso della storia dell’umanità alcuni uomini, descritti come menti illuminate, hanno eccelso in questo esercizio di introspezione. Così, sono state lasciate alla posterità numerose prospettive al riguardo. Dalla filosofia presocratica alla contemporaneità onto-fenomenologica, l’uomo ha cercato di scoprire e decifrare l’universo in cui vive per, infine, giungere allo stesso risultato: l’Io, un equivalente dell’interrogazione “Chi sono io?” È come un gioco che oscilla tra immanenza e trascendenza.

Infine, che cos’è l’uomo? A questa domanda rispondono la scienza e la spiritualità in due modi diversi, ma complementari. La storia ci mostra che alcuni uomini hanno considerato molti altri uomini come se fossero in una condizione esistenziale che li rendeva meno umani (schiavitù, razzismo, status della donna in alcune religioni, altre situazioni speciali e anormali). Questo ci conduce implacabilmente alla domanda riguardante la distinzione tra l’essere umano e gli altri esseri su questo pianeta (non parliamo qui di esseri su altri pianeti di cui solo speculiamo l’esistenza).

Che cos’è l’uomo? L’uomo può essere o potrebbe essere un condizionale-optativo esistenziale. L’uomo può essere libero, può avere opzioni limitate o può avere un numero infinito di opzioni, ciò che potrebbe essere chiamato libero arbitrio. L’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio? (questo nel caso in cui molti credano nella teoria del creazionismo). L’uomo deve avere diritti, e questo processo di comprensione ha richiesto migliaia di anni fino alla comparsa della “Dichiarazione universale dei diritti umani”, ma anche obblighi che non hanno a che fare con le così dette costrizioni morali, ma con la sua natura fondamentale. L’uomo è controllato dagli impulsi fisici o ha la forza di determinare il proprio destino? L’uomo è un frammento della luce del creatore o una conseguenza del caso? L’uomo è quella potenza misteriosa di discernere tra bene e male o al di là del bene e del male?

L’assurdo è un quadro sintomatologico dell’esistenza. Perché? Verso dove? Qual è lo scopo? Tuttavia, il mondo in cui esistiamo è una distopia, una utopia o una normalità sostenibile?

Non ci sono conclusioni definitive sulla nostra stessa esistenza, ma c’è sicuramente qualcosa ancora difficile da definire e descrivere, che copre completamente il territorio della conoscenza e delle nostre convinzioni: la fede che possiamo adattarci al bene di ognuno senza invadere l’anima di una persona, ma abbracciarla con la nostra presenza, connettendoci con la fonte che ci offre l’opzione di essere giusti o altro. L’Io, la Luce che guida in modo perenne la nostra esistenza e l’apprendimento del nostro io.

L’uomo ha cercato il senso dell’esistenza dal primo momento della consapevolezza di sé. Questo fatto, che è inevitabile, ha condotto in modo implacabile e imminente all’impegno storico di trovare “qualcosa” che nutra permanentemente la sua esistenza.

Nella cultura giapponese esiste un concetto chiamato “Ikigai”, quel “qualcosa” che fa sì che un essere umano offra tutte le possibilità del Sé per espandersi verso il compimento, verso l’armonia con la fonte essenziale di tutta la manifestazione. Questo processo di auto-realizzazione è ciò che rappresenta il cammino, la pace interiore che designa la giustizia di tutte le strutture dell’essere umano. Un’espressione conosciuta nella lingua romena si riferisce al fatto di “avere una colonna vertebrale”. Evidentemente, questa affermazione implica un senso proprio e un senso figurato. Nel senso figurato, l’uomo ha una certa attitudine, quella di essere un uomo giusto, oppure, nel senso proprio, significa sia la struttura anatomica vertebrale sia una visione verso il futuro con tutti i pesi del passato.

La terapia manuale giapponese Yumeiho è una paradigma che ha dimostrato la sua efficacia nel tempo. Yumeiho significa dedizione, responsabilità, empatia ed efficienza. La terapia Yumeiho rappresenta uno spettro di decisioni difficili da prendere, spesso decisioni spontanee. La terapia Yumeiho significa pratica, studio assiduo e devozione per il bene di coloro che ricorrono a tale alternativa, spesso come una soluzione che aggiunge un bene ulteriore, a volte decisivo, nell’equilibrio integrale del paziente.

Lucian Dănilă, terapeuta Yumeiho grado 3