Yumeiho – Oltre le mani c’è l’anima

Chi può frequentare un corso Yumeiho
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Dr Ginev Yumeiho
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Yumeiho – Oltre le mani c’è l’anima

La pratica terapeutica spesso ti porta ad affrontare persone – colleghi che sono all’inizio del loro percorso, corsisti o, perché no, pazienti – che, stupiti da quella semplicità prossimale dell’ineffabile, da quella naturalezza con cui pratichi ciò che hai appreso, ti chiedono come possano anche loro fare, con le proprie mani, ciò che fai tu con le tue.

Oltre a offrire un momento didattico – che, senza dubbio, ha il suo peso per qualsiasi principiante – la domanda mi concede un momento di riflessione in cui la verità riguardante il raggiungimento dell’eccellenza nella pratica Yumeiho irrompe con la forza di una realtà contestata da alcuni, abbracciata da altri: oltre le mani c’è l’anima. Questa è il “padrone dei burattini” che conferisce alle mani la capacità di restituire al paziente, nell’unità corpo-mente-anima, uno stato di equilibrio, uno stato di salute, uno stato che possiamo definire come suscettibile (al massimo prossimo) all’integrità originaria.

Nessun terapeuta Yumeiho può essere come un altro. Questo è un sintomo della “dittatura” dell’irrepetibilità. È la verità che i principianti devono assimilare fin dall’inizio. Puoi superare il tuo istruttore, il maestro non cercando di diventare come lui, non cercando di copiare comportamentalmente (come una scimmia che suona un flauto intonato, non familiari con il silenzio) il suo “stile”, i suoi movimenti, la sua tattica, ma cercando di diventare sempre più te stesso.

La parte “algoritmica” di Yumeiho, che consiste in teoria e applicazione, è solo questo: una formula ben appresa, ben implementata, ripetuta, esercitata. È il segmento didattico che qualsiasi istruttore consapevole, professionale e ben intenzionato deve assicurare ai corsisti. Ma è un esercizio che, all’estremo, anche un robot sofisticato potrebbe eseguire senza problemi. E gli istruttori Yumeiho non producono robot qualificati, ma, prima di tutto, rivelano vocazioni che irradiamo umanità, calore, empatia, compassione. Che irradiano, come una parola, come un punto premuto e poi tracciato mai in modo identico, l’anima.

In gran parte, il lavoro di un terapeuta Yumeiho è come l’arte del pittore: è vero che, senza problemi, tutti possiamo apprendere teoria artistica e sicuramente possiamo esercitarci. Ma i grandi capolavori non si ottengono imitandoli. Una copia della Gioconda, per quanto perfetta, rimane solo questo: una triste replica. E un grande capolavoro non rimane, in un presunto finale ricondizionato come un eterno ritorno del presente (finché questo diventa assenza di tempo), che un’ipostasi della Sorgente, in cui l’individuo è un bambino viziato che si ricorda che il modello di perfezione e l’esasperante spontaneità continua è il Creatore.

Se è vero che il confronto con il campo dell’arte è un po’ forzato – almeno agli occhi dei pazienti e dei medici per i quali la guarigione è la vittoria della scienza fredda sulla malattia – l’esagerazione ha una funzione pedagogica. Ci mostra che la perfezione, la maestria non si ottengono dal desiderio di ottenere apprezzamenti (non preoccuparti, questi non tarderanno ad arrivare, ma è meglio desiderarli con moderazione, con distacco), ma dal desiderio di dare espressione a un fattore estremamente personale: così come l’artista è “attivato” dall’ispirazione, il terapeuta Yumeiho è mosso dall’empatia, da quel naturale controverso che possiamo definire “immutabilità dell’amore per le persone”.

Tuttavia, affinché l’espressione sia efficace, il lavoro, la perseveranza, la pratica, l’esercizio sono vitali. Questi offrono quell’orizzonte in cui la vocazione cresce sana e che, con il tempo, si coagula come esperienza e diventa, come una “infocata, eraclitea fatalità”, atto di umanità, atto dell’anima. È il terreno in cui il seme dell’anima germoglia l’intensità, la fermezza, la dolcezza, la delicatezza, l’umiltà e la precisione che caratterizzano la coreografia delle mani raggiunta alla maturità della maestria. È anche il terreno che annuncia la calligrafia del sollievo attraverso le mani che designano la scelta dell’anima che aiuta.

Si richiede, dunque, impegno. Una vivificazione decisiva in ogni caso e nella coltivazione costante della pratica. La lingua rumena ha un’espressione molto felice per questo principio di impegno, di dedizione, e che sottolinea meglio di qualsiasi altra cosa ciò che vogliamo dire: mettere l’anima. In altre parole, prima di mettere mano al lavoro, il vero terapeuta Yumeiho mette l’anima.

Siamo entrambi arricchiti dai momenti in cui ci siamo incrociati con Yumeiho, come terapia, come atteggiamento, come sentire, come scelta, come azione, come speranza, come insegnamento, come atto di essere per i nostri simili. Quello che abbiamo scritto non rappresenta una convinzione, fede, o qualche “testardaggine dialettica” che legittimi una nuova paradigma terapeutica. È, in questo finale di disposizione di parole, probabilmente complicate, ma sicuramente appesantite dalle esperienze di coloro che hanno contribuito alla loro effusione, solo la constatazione di un fatto inconfutabile: qualcosa nato nell’anima di un giapponese risveglia e anima la stessa cosa nell’anima rumena.

Con riconoscenza informale,

il nostro amico, Sorin Iga

giugno, 2013

Simona Cretu,

Lucian Danila