Confessioni d’inizio

Una terapia per il corpo, un maestro per l’anima
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Kotsuban Yumeiho
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Confessioni d’inizio

Ci aggrappiamo alle parole.
Con le parole sorridiamo, speriamo, abbracciamo; ma soprattutto, troppo spesso, rimaniamo privi delle azioni che le nostre parole promettono.
In realtà, le azioni di ciascuno di noi sono tocchi che certificano le certezze dell’anima, certezze che vivono ovunque, ma che soprattutto ci animano al di là e al di qua di ogni luogo.
Le parole sono complicate; le azioni sono semplici. Vivono in un’inflazione continua di parole, ma soprattutto in una sovrabbondanza di conseguenze che abbracciano, nel bene, le nostre sofferenze e quelle dei nostri simili.

A Galați vi è stata una grande gioia per coloro che sono venuti a imparare lo Yumeiho.
Per alcuni, la gioia è stata così travolgente che hanno confessato di aver avuto la sensazione di entrare in un altro mondo.
Non mi soffermerò qui su una presentazione tecnica e pragmatica di ciò che è accaduto, benché la quantità di informazioni sia stata davvero travolgente.
Non sento il bisogno di descrivere “come da manuale”, anche se lo Yumeiho significa, soprattutto nella prima e lunga fase dell’apprendimento, assimilazione tecnica e precisione nell’esecuzione.
E non vorrei che le mie goffaggini nella pratica contaminassero un territorio, quello delle parole, in cui chi vi scrive ha almeno un po’ più di dimestichezza.
Sono invece spinto da una tentazione irresistibile e gustosa: quella di provare a scoprire, per ora soltanto con le parole, un modo di avvicinarmi allo spirito dello Yumeiho.

A Galați sono stati nove giorni speciali.
Così speciali che alcuni dei partecipanti hanno lasciato da parte le parole per dedicarsi ai sorrisi e, molto spesso, alle risate.
Il sorriso può essere – e spesso è – il preludio di una intensa apologia della serenità.
O, più semplicemente, l’espressione della naturalezza.
E la naturalezza, che sembra talvolta un peso della nostra natura, si prolunga nelle mani che fanno quasi tutto, ma soprattutto rendono naturale ciò che toccano, accompagnandolo con un sorriso.
Così funziona ciò che chiamiamo terapia manuale Yumeiho.

Anzi, non funziona solo così.
Nulla di ciò che sfida i limiti della comprensione e dell’esperienza rimane immobile.
Sorridiamo di fronte al moto incessante del sipario… un movimento così intenso che abbiamo la sensazione che anche la scena stessa stia oscillando.
Premi con un dito il presente, finché esso non si trasforma in presenza.
E come potresti assaporare la tua stessa presenza, se non attirandola a te con avidità, con la fronte così china da tramutarsi lentamente ma irrevocabilmente in preghiera… una preghiera ininterrotta.

Non so che cosa sia lo Yumeiho, e questa non-conoscenza è diventata più evidente ogni giorno di quei nove magici.
Eppure, mentre cresceva questa desiderata ignoranza, un’altra crescita, simultanea, batteva nel mio cuore.
E batteva così forte che ho sospettato che stesse cercando di insegnarmi la spiritualità… una parola, ma soprattutto un modo di essere che non mi era estraneo, ma che vibrava vivo in qualche angolo polveroso della memoria.
Non so che cosa sia lo Yumeiho, così come non so che cosa sia l’amore.
So come si pronuncia la parola, posso descrivere ciò che suscita in me “scacciandomi” fino ai cieli sereni del sentire umano, dove mi sento profondamente io, ma un io che ha bisogno della preghiera, che desidera riempire il proprio respiro con la preghiera che innalza la lacrima al cuore di Cristo.

Quando il mio cuore batte nello Yumeiho, avverto il ritorno della naturalezza in ciascuno di noi.
Una naturalezza che designa la donazione incondizionata e l’umiltà nel ricevere i doni.
Quando il respiro mi ravviva nello Yumeiho, incontro i miei simili con un cuore così aperto da poter essere infinitamente aperto.
Quando il mio sguardo brilla nello Yumeiho, so che attorno a me – e dentro di me – rinasce un tradimento radicale del mercantilismo, dell’opportunismo, della menzogna, dell’ipocrisia, della disperazione.
Non ho ancora imparato che la speranza è la certezza più pura del cuore, ma ciò che imparo ora, sempre ora, dal riportare al presente gli atti dell’apprendimento, è che l’uomo è nato nella speranza e nell’attesa della speranza vivrà in eterno.

Non so come continuerà il mio cammino nell’imparare a donare attraverso lo Yumeiho.
La parte buona è che non so nemmeno come finirà questo apprendimento.
La parte ottima, quella davvero sublime, è la certezza che non finirà: si compirà.
E ciò che si compie è il frutto della scelta autentica e della pazienza – sintomi della spiritualità incarnata.

Viviamo in un preludio incessante.
Premeditiamo in un colloquio ostentato.
È come un sogno che si agita per diventare trasformazione.
È come una pioggia che danza prima di cadere, nutrita dalla stessa certezza della neve che sogna di diventare libera attraverso lo scioglimento, attratta da quel sorriso ultimo che la libera.
Da quando lo Yumeiho ha trovato una tale consistenza nella mia vita, vivo immerso in un’avalanche di emozioni, gesti, sguardi, sonorità, tutte anticipazioni di un continuo inizio, tutte esse stesse inizio.

Ora, per me – anonimo prigioniero delle parole, errante tra i significati e nel tumulto delle metafore –
Yumeiho è il primo pellegrinaggio autentico.